Ostara

All’Equinozio di Primavera, intorno al 21 marzo, giorno e notte sono in perfetto equilibrio (la parola equinozio deri­va dal latino aequus nox, “uguale notte”), ma la luce aumenta sempre di più, dopo le lunghe notti invernali. La Ruota dell’Anno gira attraverso le stagioni, verso i lunghi e caldi giorni estivi. La Natura si risveglia, i fiori sbocciano ovunque. E’ il tempo del ritorno della vegetazione: fiori­scono il narciso, la primula, la tussilaggine, fiori primave­rili color del sole. Gli uccelli costruiscono nidi e si accoppiano. Non c’è da meravigliarsi quindi se questa data sia stata associata presso varie culture a concetti quali la fertilità, la resurrezione, l’inizio.

Ma se nel suo aspetto di fertilità umana l’Equinozio deve inchinarsi alla festa successiva, quella di Beltane, esso possiede completamente l’aspetto della fertilità vege­tale, che si manifesta in modi diversi a seconda della lati­tudine. Infatti, se nel Mediterraneo è tempo di germogli, nel Nord Europa è tempo di semina, in cui i nuovi semi vengono benedetti.

Nelle tradizioni neo-druidiche contemporanee l’Equi­nozio primaverile è denominato Alban Eiler, “Luce della Terra”, con riferimento al fatto che il sole ora si trova al di sopra dell’equatore celeste, la zona astronomica chiamata nelle antiche cosmologie “terra emersa” e contrapposta alle “acque inferiori”, cioè la zona al di sotto ditale fascia. La primavera, in queste concezioni druidiche è celebrata con tre feste: Imbolc che ne rappresenta i primi movimenti, l’Equinozio che ne è la manifestazione visibile, e Beltane che è la sua pienezza.

Come inizio l’Equinozio di Primavera segna appunto l’i­nizio del calendario zodiacale col segno dell’Ariete. Inoltre ogni era zodiacale viene chiamata col nome della costella­zione in cui cade il punto equinoziale nel suo ciclo preces­sionale (circa 2000 anni per ogni segno zodiacale).

L’Equinozio primaverile rappresenta così una sorta di capodanno. Nella Roma arcaica l’anno cominciava a prima­vera, nel mese di marzo sacro appunto a Marte, padre dei due gemelli fondatori della città. Anche in altri paesi del Mediterraneo e del Vicino Oriente l’anno iniziava con la primavera, quando il sole torna a splendere alto nel cielo e la terra si risveglia.

E ogni anno a Roma, il 14 o 15 marzo, veniva portato in processione un uomo coperto di pelli di capra, colpito con lunghe verghe e chiamato Mamurio Veturio. Ritenuto il mitico fabbro che aveva costruito undici scudi a imitazione di quello sacro donato da Giove al re Numa Pompilio e per questo ritenuto colpevole di sacrilegio, Mamurio era in real­tà la personificazione dell’anno vecchio (Veturio, da “vetus”- vecchio), il quale veniva scacciato alle Idi di Marzo per far posto al nuovo anno.

All’Equinozio di Primavera, in molte tradizioni ricorreva addirittura la nascita del mondo, come nel mithraismo, l’antica religione persiana.

Il mito narra che Mithra sacrificò il toro cosmico, da cui nacquero tutte le piante e tutti gli ani­mali, e poi suggellò la sua amicizia con il Sole, offrendogli la carne del toro in un banchetto sacrificale.

Ma le antiche tradizioni ci offrono tutta una serie di miti legati alla primavera, che hanno al loro centro l’idea di un sacrificio a cui succede una creazione, rinascita e nascita. Esiste un preciso riferimento cosmico alla base di queste mitologie: il sole che incrocia e supera la linea dell’equato­re celeste passando da nord a sud. Sembra che al tempo dell’equinozio nel segno dei Gemelli (6000 – 4000 a.C. circa) la più notevole figura astronomica del cielo meridio­nale, la Croce del Sud, fosse visibile nei cieli della Mesopotamia. I Babilonesi fecero della croce il simbolo dell’adempimento, quasi ad indicare che il mito del dio del­l’anno si conclude al termine di un ciclo, con il dio stesso appeso ad una croce.

Un mito che mostra bene l’idea di un sacrificio e di una successiva rinascita è quello frigio di Attis e Cibele.

Attis, bellissimo giovane nato dal sangue della dea Cibele e da questa amato, voleva abbandonarla per sposare una donna mortale. Cibele lo fece impazzire ed egli si evirò morendo dissanguato. Dal suo sangue nacquero viole mammole, e gli dei, non potendolo resuscitare, lo trasformarono in un pino sempreverde (raffigurazione dell ‘Albero Cosmico).

Secondo i filosofi neoplatonici questa storia cruda simbo­leggiava l’amore della Provvidenza (Cibele) per la causa generatrice (Attis) di ogni cosa. La discesa della causa generatrice termina al livello più basso, il mondo della materia, quando la Provvidenza interrompe la folle corsa.

Adone era in realtà il Dio assiro-babilonese Tammuz, a cui i fedeli si rivolgevano chiamandolo “Adon” (Signore).

Egli, dimorava sei mesi all’anno negli inferi, come il sole quando si trova al di sotto dell’equatore celeste (autunno e inverno). Si festeggiava a primavera la sua risalita alla luce quando si ricongiungeva alla dea Ishtar, l’equivalente dell’Afrodite greca.

Allo stesso modo, nei Misteri Eleusini si festeggiava Persefone, che ritorna nel mondo dopo aver tra­scorso sei mesi nel regno dei morti. Proprio nel mese di Anthesterion (“mese dei fiori”, febbraio-marzo circa), si celebravano ad Atene i Piccoli Misteri Eleusini.

La Pasqua è la versione cristiana del tema dell’accoppia­mento sacrificale: la discesa di Cristo agli Inferi per salvare le anime dei giusti, da Adamo in poi.

Gli inferi, nella visione delle tarde religioni pagane non erano altro che il miscono­sciuto aspetto femminile della divinità, la Dea in cui il Dio sacrificato si immerge per rinascere, ma i nomi di varie dee degli inferi (la nordica Hel, la cananea Sheol) sono passati in seguito ad indicare luoghi ultraterreni di punizione eterna.

Nel mese successivo all’Equinozio si festeggiavano in Atene le Grandi Dionisìe, in onore di Dioniso, Dio morto e resuscitato. La processione compiuta per celebrarlo portava per le strade simulacri di falli, simbolo della fertilità nel suo aspetto maschile.

Tutti questi miti mostrano l’unione di un simbolismo cosmico, celeste, legato al cammino del sole nel cielo, e un simbolismo terrestre, legato al risveglio della Natura.

Ciò riecheggia il sottostante tema del matrimonio fra una divi­nità maschile, celeste o solare, ed una femminile, legata alla terra o alla luna; verso l’indeterminato, il mondo frammentato e caotico della materia, per richiamarla a sé.

La mutilazione di Attis era il ritorno alla madre primordiale, il ridiventare simili ad essa, androgini, per risorgere nell’Uno. A Roma le feste in onore di Attis iniziavano il 15 marzo, con penitenze e digiuni. Il 22 marzo iniziavano i Tristia, le commemorazioni per la passione e morte di Attis, durante le quali avvenivano le auto-evirazioni dei suoi adoratori, che volevano diventarne sacerdoti, i cosid­detti “Galli”.

Il 25 marzo erano gli Hilaria, durante i quali si celebrava la resurrezione di Attis, il suo ritorno alla Grande Madre, all’apparire del sole che aveva appena superato l’equatore celeste. Si diceva che la tomba si apri­va e che il dio si levava tra i morti. I sacerdoti, toccando con un balsamo le labbra degli adoratori, annunciavano che anche essi, come Attis, avrebbero trionfato sulla morte. Tutti questi riti avevano luogo sul posto dove ora sorge la basilica di San Pietro.

Dopo l’Equinozio, si svolgevano nel mondo ellenico le Adonìe, le feste della resurrezione di Adone.

Bellissimo giovane amato dalla dea Afrodite, venne ucci­so da un cinghiale (forse il dio Ares ingelosito). Collegati ai riti in suo onore erano i “giardini di Adone”, vasi in cui si seminavano cereali e ortaggi che germo­gliavano rapidamente al sole primaverile e venivano poi gettati in mare o nelle sorgenti per propiziare il rinnova­mento della Natura. Tale usanza è sopravvissuta nelle celebrazioni della Pasqua cristiana. Ancora oggi, in molte località d’Italia, si prepara nello stesso modo il cosiddet­to “grano del sepolcro”.

 

La primavera era infatti la stagione per accoppiamenti rituali meno cruenti di quello di Attis: gli hieros gamos, le nozze sacre in cui il Dio e la Dea (personificati spesso da un sacerdote e da una sacerdotessa) si accoppiano per propi­ziare la fertilità. Il Dio Sole inizia a far sentire la sua giovi­nezza e ad accoppiarsi con la giovane Dea della Terra.

Come festa solare, appartengono all’Equinozio i temi del fuoco e della luce. Luce e fertilità sono sopravvissuti nel folklore europeo, in cui è rimasta la tradizione di accende­re i fuochi di Pasqua sulle cime di alte colline: più a lungo restano accesi, più sarà fruttifera la terra.

I miti primaverili della fertilità sono presenti infatti anche nel Nord Europa. La parola Est, la direzione a cui è collegato l’Equinozio primaverile, deriva da “Eostre” (o Ostara, “la stella dell’est”, cioè Venere), la dea sassone della fertilità assimilabi­le a Venere, Afrodite e Ishtar.

Eostre ha dato il suo nome anche alla Pasqua nella lingua inglese: Easter per l’appunto.

A Eostre era sacra la lepre, simbolo di fertilità, il cui comportamento in mano si dice assomigli a quello di una congrega di streghe danzanti (la famosa lepre marzolina di “Alice nel paese delle meraviglie”). Questo totem animale della dea fu infatti in seguito considerato lo “spirito familiare” delle streghe, ma in realtà era un animale sacro in molte tradizioni.

Gli antichi Britanni associavano le lepri alle divinità della luna e della caccia: ucciderle e mangiare la loro carne era tabù. Fino a tempi recenti la lepre non veniva mangiata nella regione del Kerry, dal momento che si diceva che mangiare una lepre equivaleva a mangiare la propria nonna! I Celti abo­livano temporaneamente il tabù all’equinozio primaverile o a Beltane: si trattava di un pasto rituale in cui il corpo dell’ ani­male totemico veniva consumato per partecipare della sua fer­tilità. I Celti inoltre consideravano la lepre un animale divina­torio, e dal modo in cui correva traevano presagi. Anche gli Anglo-Sassoni veneravano la lepre e una caratteristica delle feste primaverili in onore di Eostre era appunto una caccia rituale a questo animale.

Nel folklore delle Isole Britanniche ancora esistono sopravvivenze di questi rituali. Così, ad esem­pio, la Contesa del Pasticcio di Lepre nel villaggio di Hallaton, dove un grande pasticcio di carne di lepre viene conteso dagli abitanti del villaggio, (sebbene in tempi recenti esso venga tranquillamente servito nei piatti dal vicario). Fino alla fine del’700, vicino Leicester aveva luogo ogni Lunedì di Pasqua una caccia alla lepre nelle colline circostanti. Si dice che i disegni sulla superficie della luna piena raffigurino una lepre, ricordo questo dell’associazione dell’animale con divinità lunari.

Questa raffigurazione della “lepre nella luna” appare nelle tradizioni cinesi, europee, africane e indiane. Nella tradizione buddista le leggende narrano di come una lepre si sacrificasse per nutrire il Buddha affamato, bal­zando nel fuoco. In segno di gratitudine il Buddha impresse l’immagine dell’animale sulla luna. Questa leggenda riecheg­gia tradizioni ancora più antiche del Buddismo.

In Cina la lepre lunare ha un pestello ed un mortaio con cui prepara un elisir di immortalità e figure di lepri e conigli vengono costruite in occasioni delle feste lunari. La lepre è considera­ta un animale Yin che viene dal Polo Nord recando il saluto della Dea della Luna. Amuleti di giada verde raffiguranti la lepre sono costruiti e regalati per augurare la buona fortuna.

 

Nelle tradizioni dei Nativi Americani la Grande Lepre è l’eroe dell’alba, il salvatore, creatore e trasformatore, padro­ne dei venti e fratello della neve. E’ il Grande Imbroglione, simbolo della mente veloce che supera in astuzia la forza fisica. Gli Indiani Algonchini adoravano la Grande Lepre che si diceva avesse creato la Terra.

Per gli antichi Egizi la lepre era un animale lunare ma anche collegato all’alba, all’est.

Osiride risorto è simboleg­giato dalla lepre in quanto divinità solare, come pure Thoth, Ermes e Mercurio quali divinità messaggere, dal momento che l’est è il luogo da cui provengono gli dei portatori di luce.

Nell’antica Europa, i Norvegesi rappresentavano le Divinità lunari accompagnate da una processione di lepri che portano lanterne. Anche la Dea Freya aveva come inser­vienti delle lepri e la stessa Dea Eostre era raffigurata con una testa di lepre.

Nel folklore europeo la lepre è stata associata allo spiri­to del grano, siccome ha l’abitudine di nascondersi nei campi di grano fino alla mietitura, tanto che l’ultimo covone veniva chiamato, tra gli altri nomi, “la lepre”. Ma la lepre è stata collegata anche alla fertilità e alla sessualità vigoro­sa, essendo una generatrice veloce e prolifica. I Greci la consideravano sacra ad Afrodite e a suo figlio Eros. Filostrato diceva che il sacrificio più adatto per Afrodite era la lepre in quanto essa possiede il suo dono di fecondità in un grado superlativo.

Come molti animali sacri dell’antichità, anche la lepre subì nel Medioevo un processo di demonizzazione e venne ritenuta animale di cattivo auspicio, in cui le streghe si trasformavano.

Si pensava che una lepre bianca fosse presagio di morte e abbondarono le storie di ferite inflitte a lepri, ferite rinvenute il giorno dopo su qualche donna.

In Cornovaglia si raccontava che le ragazze morte dopo esse­re state abbandonate dai loro innamorati, si trasformavano in lepri bianche per perseguitare i loro amanti infedeli.

Ma l’immagine della lepre fortunatamente ha incontrato un destino meno lugubre.

La lepre di Eostre che deponeva l’uovo della nuova vita per annunciare la rinascita dell’anno è diventata l’odierno coniglio di Pasqua che porta in dono le uova, altro simbolo di fertilità. Al giorno d’oggi la ricorrenza della Pasqua ci ripropone ogni anno il tradizionale consumo e dono di uova, da quelle di cioccolato con la sorpresa a quel­le naturali decorate a mano (che raggiungono livelli artistici nei “pysanky” dell’Ucraina) alle numerose ricette tipiche di frittate e dolci.

Ma che cosa rappresenta l’uovo e perché gioca un ruolo così importante nelle tradizioni pasquali?

In realtà l’attuale uovo di Pasqua ha origini pre-cristiane, essendo un antichissimo simbolo di vita, di creazione e di rinascita.

Come simbolo di iniziazione l’uovo simboleggia il due-volte nato, la sua deposizione essendo una prima nascita e la schiusa la seconda.

La nascita del mondo da un uovo cosmico è un’idea universalmente diffusa, e non a caso veniva celebrata pres­so molte civiltà alla festa equinoziale di primavera, quan­do la Natura risorge e le ore di luce iniziano a prevalere su quelle notturne.

In numerose mitologie un uovo primordiale, embrione e germe di vita, è il primo essere ad emergere dal Caos. Non sinonimo di confusione o distruzione, bensì di condizione primordiale che contiene la potenzialità di tutte le cose esi­stenti, il Caos è la forza vitale generatrice di tutto ciò che esiste.

E’ 1’ “Uovo del mondo” covato da una Grande Dea e dischiuso dal Dio Sole.

L’uovo è il principio da cui nasco­no tutte le cose, portando in manifestazione ciò che prima era solo allo stato potenziale. Nell’alchimia l’uovo è il vaso mistico in cui si compie la trasmutazione, un modello della creazione in scala ridotta.

Un mito dell’India narra che nella notte dei tempi tutto era immerso nelle tenebre e sepolto in un sonno profondo.

L’Assoluto volle creare il cosmo dalla propria sostanza. Così creò le acque e vi depose a galleggiare un uovo splen­dente il quale generò al proprio interno Brahma il Creatore, che divise poi l’uovo stesso in due parti, formando la terra e il cielo. In Cina era il tuorlo dell’uovo a rappresentare il cielo mentre l’albume era la terra.

In altre tradizioni il tuorlo è il dio Sole e il guscio la Dea. L’uovo del mondo deposto da una Dea veniva infatti dis­chiuso dal calore del Sole, come si è detto. In molte leg­gende egizie, l’Oca del Nilo, la Grande Dea, deponeva un uovo da cui nasceva Ra, il Sole. Un mito orfico greco narra che in principio esisteva la Notte, la dea uccello dalle nere ali la quale, fecondata dal Vento del Nord, depose un uovo d’argento nel grembo dell’oscurità. L’uovo era la Luna e da esso balzò Eros, il dio della vita dalle ali dorate che portò alla luce l’intero cosmo.

Ma in Grecia esisteva un mito più antico: Eurinome, Dea di Tutte le Cose, cioè il Caos primigenio.

Per scaldarsi si mise a danzare nuda sulle onde delle acque primordiali e poi strofinò tra le proprie mani il Vento del Nord. Da tale gesto nacque un serpente, Ofione, che si accoppiò con la grande Dea. Eurinome per accoppiarsi con Ofione si tramutò in colomba e dopo l’amplesso depose l’uovo universale.

Anche gli antichi popoli medio-orientali, come babilonesi e sume­ri, credevano alla mitica colomba che sorvolava le acque pri­mordiali del Caos.

Una colomba.. non suggerisce nulla quest’immagine?

E la colomba in questi stessi miti viene associata ad un animale, che tradizioni più tarde, avrebbero considerato con orrore. Infatti l’originale uovo primordiale era un uovo di serpente.

Nel mondo celtico i Druidi chiamavano l’uovo cosmico “uovo del serpente” e custodivano talismani fatti a sua immagine, forse ricci di mare fossili, che si diceva posse­dessero qualità miracolose.

Una leggenda egizia narra come Kneph, il serpente pri­mordiale produsse l’uovo cosmico dalla propria bocca. Sempre l’orfismo greco, quella straordinaria fucina di miti, considerando l’uovo il mistero della vita e della creazione, lo raffigurò spesso circondato dall’Ouroboros, il mitico ser­pente circolare che si morde la coda, quasi a rappresentare il tempo ciclico nel suo eterno ritorno. Ma il serpente diste­so è il tempo lineare della storia, e così anche l’uovo con la propria forma simboleggia contemporaneamente il tempo cosmico, circolare e ciclico, e quello storico e lineare. Del resto il serpente rappresenta in molte tradizioni la rinascita, come l’uovo.

Osservando da vicino i simboli ci si accorge come essi in realtà si rispecchino l’uno nell’altro, si generino l’uno dall’al­tro in un gioco infinito e universale.

E’ nato prima l’uovo o la gallina? O il serpente? O la colomba? Domande che rivelano tutti i limiti della nostra logica razionale e meccanicistica.

 

La pianta sacra dell’Equinozio di Primavera è il trifoglio.

Pianta simbolo dell’Irlanda, della quale si dice che San Patrizio, evangelizzatore dell’isola, ne usasse per spiega­re la Trinità cristiana (incidentalmente la festa di San Patrizio ricorre il 17 marzo, in prossimità dell’equinozio). In realtà si tratta di una tradizione tarda risalente al 18° secolo e il trifoglio non era altro che la triskele, la ruota solare a tre bracci; mentre la varietà a quattro foglie rappresentava la croce celtica, la ruota solare, il cerchio magico delle quattro direzioni. Tutti simboli molto più anti­chi del Cristianesimo.

 

CELEBRARE L’EQUINOZIO DI PRIMAVERA

L’Equinozio di Primavera è il momento del risveglio della Natura, in cui si manifesta pienamente il seme di luce germogliato a Imbolc.

Fisicamente è tempo di uscire all’aria aperta, di fare movimento, di andare per prati e per boschi.

Gli equinozi sono un periodo di equilibrio e al tempo stesso di instabili­tà, di nervosismo. Giovano molto quindi le cure disintossi­canti e ricostituenti, specie se effettuate con metodi naturali (Fiori di Bach, ecc.). La nostra irrequietezza è inoltre facilmente superabile con una maggiore attività fisica. Tra l’altro, è tempo di iniziare a lavorare sulla terra per tutte le colture, che in breve tempo fioriranno e fruttificheranno.

Se abbia­mo un orto o un giardino possiamo dedicare ad essi un po’ del nostro tempo, altrimenti possiamo piantare o seminare qualche piantina in un vaso per sistemarla in casa.

Psicologicamente è tempo di iniziare nuovi progetti, magari le cose che abbiamo sognato o immaginato durante l’inverno: un nuovo hobby, uno sport o una qualche attività fisica. E’ infatti tempo di mettere in pratica le lezioni che abbiamo imparato dalle nostre riflessioni invernali, dalle profonde visioni interiori e dalla espansione della coscien­za. Tempo di portare quella conoscenza nel mondo esterno, uscendo dalla introversione invernale.

Per manifestare in maniera ancor più concreta i muta­menti di questo momento di passaggio potremmo compiere qualche piccolo rito propiziatorio. Siccome l’uovo è un simbolo primario di Ostara e della rinascita (sia del Dio della Vegetazione, sia dell’anno), pos­siamo quindi usarlo per rappresentare questa rinascita, come pure la nostra rinascita interiore in questo periodo dell’anno, quando il clima si riscalda e i nostri orizzonti si espandono. L’uovo riflette il nostro potenziale interiore, già nato a Imbolc ma in attesa della sua schiusa. Così possiamo dipingere (con colori non tossici!) il guscio di uova sode da consumare nel nostro pranzo equinoziale o da regalare agli amici. Anche se non siamo artisti possiamo decorarle con semplici disegni, ispirati al simbolismo stagionale: il sole, il trifoglio, il coniglio e i fiori di primavera. L’uovo sta a simboleggiare le nostre speranze spirituali nel ciclo annua­le, quindi dipingendo le uova possiamo formulare i nostri desideri per i prossimi mesi.

Per celebrare la giovinezza dell’anno e la nostra cre­scita interiore possiamo anche piantare dei semi, dopo averli presentati al Sole e alla Terra e aver chiesto la loro benedizione.

Se si desidera compiere qualcosa di più complesso, si può celebrare un piccolo rito all’aperto, in un prato o nel proprio giardino. Su una grossa pietra o un grosso ceppo di legno si accendano candele gialle (colore della luce e del sole) e/o verdi (la nuova crescita della vegetazione). Si salutino le potenze divine nel loro aspetto di giovinezza:“Benvenuto Giovane Dio Sole”, (oppure Giovane Dio della Vegetazione, se si vuole mettere l’accento sui cambiamen­ti della Natura) e “Benvenuta Giovane Dea della Terra”. Ovviamente si possono pronunciare formule di saluto più elaborate.

Se lo si desidera, si può avere un piatto di semi o di piantine (da piantare nel nostro giardino o da regalare ai nostri amici), sui quali si visualizza discendere la bene­dizione delle forze cosmiche. Possiamo pensare ai semi e alle piantine come ai nostri nuovi progetti da concretizzare, così quando li pianteremo legheremo le nostre azioni ai grandi cicli cosmici e stagionali armonizzandole con la Natura. Meditiamo sul mistero della rinascita della Natura e sentiamo la fresca energia degli inizi che pervade il nostro corpo.

Si può bere vino (o succhi di frutta) e mangiare dolci, ricordando di lasciare qualche goccia e qualche briciola da versare sulla terra, come nostra offerta di ringraziamento.

 

Testo revisionato dalla redazione di Occulto Mundi

Fonte: Feste pagane, di Roberto Fattore. Puoi trovare il libro nella nostra Biblioteca