Odino Padre degli Dei

Odino è figlio del gigante Borr e di Bestla figlia di Bolþörn. E’ il più vecchio degli Æsir. Nato in tempi remoti, lui e i suoi fratelli Vili e Vé furono gli artefici della creazione: essi uccisero il gigante primigenio Ymir e con la sua carcassa forgiarono la terra e il cielo, quindi regolarono il corso degli astri, stabilirono il computo del tempo e fondarono il nuovo ordine universale.

Óðinn è sommo tra gli dèi e governa tutte le cose del mondo. Benché anche gli altri dèi siano potenti, tutti lo servono, così come i figli fanno con il padre. Infatti egli è chiamato Allföðr, «padre di tutti», perché è padre degli dèi e degli uomini, il creatore di tutto ciò che ha portato a compimento con la sua potenza.

 Óðinn dimora in Ásgarðr, nel palazzo d’argento chiamato Valaskjálf, «rocca degli eletti», che lui stesso ha innalzato. In quella sala si trova il trono Hliðskjálf, dal quale Óðinn osserva tutto il mondo e la condotta di ogni uomo, e comprende tutte le cose che vede.

Sposa di Óðinn è Frigg figlia di Fjörgynn, da cui ha avuto il figlio Baldr e, forse, anche il cieco Höðr. Ma prima, Óðinn aveva avuto in moglie Jörð, che gli aveva generato il più forte e possente dei suoi figli, il dio del tuono Þórr (Thor). La sua amante Rindr gli ha dato inoltre il figlio Váli, e la gigantessa Gríðr gli ha partorito Víðarr il silenzioso. Anche Hermóðr è detto figlio di Óðinn. Il valoroso Týr è pure figlio di Óðinn, ma altri lo dicono piuttosto figlio del gigante Hymir.
Óðinn ha infine avuto molte amanti tra i mortali, dalle quali ha generato grandi eroi e importanti schiatte di sovrani.

Moltissimi sono i nomi e gli appellativi con i quali Óðinn è conosciuto tra i figli degli uomini, e nessun uomo ha sapienza bastante per conoscerli tutti. Si dice che nei tempi antichi, in Ásgarðr, egli avesse dodici nomi. Il primo era Allföðr, il secondo Herjan, il terzo Hnikarr, il quarto Hnikuðr, il quinto Fjölnir, il sesto Óski, il settimo Ómi, l’ottavo Biflindi, il nono Sviðurr, il decimo Sviðrir, l’undicesimo Viðrir, il dodicesimo Jálkr. Ma egli è chiamato anche Sigföðr e Valföðr perché stabilisce in battaglia a chi vadano la vittoria e la morte. Altri suoi nomi sono Hangaguð «dio degli impiccati», Haptaguð «dio dei legami» e Farmaguð «dio dei carichi». Ma vi è anche un’altra ragione per cui tutti questi nomi sono stati assegnati a Óðinn. Nel mondo vi sono molte lingue e tutte le genti si rivolgono al dio nella propria lingua quando lo invocano o lo pregano.

Incappucciato, o con un cappello a larghe falde in capo, Óðinn vaga tra i mondi in groppa al suo cavallo Sleipnir, che è il migliore dei destrieri ed è dotato di otto zampe. Lo accompagnano due lupi chiamati Freki e Geri, l’«avido» e il «divoratore», che nutre col cibo che sta sul suo tavolo. Si dice infatti che Óðinn non abbia alcun bisogno di nutrimento: il vino è per lui tanto cibo che bevanda. Due corvi stanno appollaiati sulle sue spalle e gli sussurrano all’orecchio tutte le cose che vedono o sentono: si chiamano Huginn e Muninn, il «pensiero» e la «memoria». Durante il giorno Óðinn li fa volare per il mondo; all’ora del pasto essi tornano e gli riferiscono ciò che hanno saputo, e Óðinn comprende ogni cosa. Per questo gli uomini lo chiamano anche Hrafnaguð «dio dei corvi».

Non si può parlare di Óðinn senza far cenno alla sua sapienza, all’immensa conoscenza che egli possiede, essendo il più antico degli dèi e il creatore del mondo. Egli ha imparato per primo tutte le arti e poi gli uomini le hanno apprese da lui. Tra i molti nomi ed epiteti di Óðinn, parecchi si riferiscono alla vastità e alla profondità del suo sapere. Óðinn non solo conosce l’origine di tutte le cose, i misteri dei nove mondi [nío heimar] e l’ordine di tutte le stirpi e gli esseri che vi abitano, ma sa anche ciò che deve ancora accadere, conosce il destino di ogni uomo e il fato dell’universo.
Óðinn ama disputare con creature antiche e sapienti. Sotto le mentite spoglie di Gágnraðr si giocò la vita sfidando a una gara di sapienza il gigante Vafþrúðnir, la cui erudizione era rinomata in tutti i nove mondi e, dopo una serie di domande sul passato, il presente e il futuro del mondo, a cui il gigante rispose prontamente, Gágnraðr gli domandò che cosa avesse sussurrato Óðinn all’orecchio di Baldr prima che questi fosse posto sulla pira funebre. A questo punto Vafþrúðnir riconobbe Óðinn, ma aveva ormai perduto la gara.
Un’altra volta, presentandosi col nome di Gestumblindi, Óðinn sfidò un re di nome Heiðrekr a una gara di indovinelli. Dopo una serie di quesiti a cui il re rispose senza difficoltà, Óðinn gli pose la medesima domanda che già aveva posto a Vafþrúðnir. A quella domanda il re riconobbe il dio e cercò di ucciderlo, ma Óðinn gli sfuggì trasformandosi in falco.
Óðinn tiene accanto a sé la testa di Mímir, che è per lui una fonte inesauribile di conoscenza e gli rivela molte notizie dagli altri mondi. Inoltre, egli stesso ha un solo occhio, avendo dato l’altro per attingere un sorso d’acqua alla fonte della sapienza in Mímisbrunnr. Da quella mutilazione gli derivarono gli epiteti di Bileygr «guercio» e Báleygr «occhio fiammeggiante».
La sapienza di Óðinn ha anche un’altra importantissima origine: egli conosce infatti i segreti delle rune, quelle lettere dai tratti angolati, che, incise sul legno e sulla pietra, sulle lame delle spade, sulla lingua dei poeti, sugli zoccoli dei cavalli,sui palmi delle levatrici, ai bordi del ponte, sulla birra che fermenta, e sugli amuleti sono l’origine stessa di ogni conoscenza e di ogni potere. Óðinn ottenne questa sapienza immolando sé stesso in sacrificio a sé stesso.
“Ecco, lo so io, rimasi appesi all’alto tronco sferzato dal vento per nove intere notti, ferito di lancia e consegnato a Óðinn (io stesso sacrificato a me stesso!) su quell’albero che nessuno sa da quali radici sorga. Ero affamato, ma nessuno era lì a darmi del pane; ero assetato, ma nessuno mi porgeva corni per bere. Guardai giù, urlando feci salire le rune, e poi caddi di là!”
In tal modo Óðinn ottenne le rune e ne dominò tutti i poteri. Subito si era sentito come fiorire internamente, crescere e farsi possente. Pare che l’albero a cui Óðinn si appese fosse proprio il grande frassino Yggdrasill, il quale trasse il suo nome, «destriero di Yggr», in ricordo del suo sacrificio.

La sapienza di Óðinn è conoscenza, magia e poesia a un tempo. Non è soltanto arida erudizione, ma anche la sorgente dei suoi poteri. Egli pratica le sue arti con le rune o con quei canti magici dettigaldrar, onde per cui lui stesso e tutti gli Æsir sono anche chiamati «fabbri di canti». Ma vi sono canti – non certo alla portata dei figli degli uomini – che solo Óðinn conosce, e che gli conferiscono immenso potere non soltanto sulle cose e sugli elementi, ma anche sulla volontà e i sentimenti degli uomini. Nove incantesimi, i più terribili, egli li apprese da suo zio materno, il figlio di Bölþorn.
Con i suoi incantesimi, Óðinn sa legare l’animo e la volontà degli uomini. Può sedare l’odio e le contese, acquietare l’angoscia e la tristezza, e persino guarire le malattie; viceversa sa recare agli uomini la sfortuna, la malattia e la morte; sa togliere il senno o la forza a un uomo per trasferirli a un altro. Questo tipo di magia – che Óðinn ben conosce – è chiamataseiðre il praticarla comporta per i maschi atteggiamenti vergognosi, tanto che è stata a lungo tramandata soltanto tra le sacerdotesse. Se il fuoco arde, Óðinn sa le parole per spegnerlo. Se vi è tempesta in mare, con il canto Óðinn muta il vento secondo la sua volontà e acquieta i marosi.
Óðinn non può essere imprigionato né legato. Conosce canti che sciolgono i nodi, fanno cadere le catene dai polsi e saltar via i ceppi dai piedi. Ha il potere di cambiare il suo aspetto e nessuno lo riconosce finché desidera mantenere l’incognito. Mentre il suo corpo giace come morto o addormentato, Óðinn diventa uccello o animale, pesce o serpe, arrivando in un batter d’occhio in terre lontane per occuparsi delle proprie faccende… o di quelle degli altri.
Óðinn sa dove sono nascosti tutti i tesori del mondo, e conosce i canti che aprono la terra e le rocce, le pietre e i tumuli; lega con le parole quelli che vi abitano, poi entra e prende tutto ciò che gli piace. Egli resuscita dalla terra i morti, o siede presso le forche e slega le lingue degli uomini appesi, i quali gli riferiscono il loro sapere; perciò egli è detto signore degli spiriti dei morti e degli impiccati. Trasmise la maggior parte delle sue facoltà ai suoi sacerdoti, i quali gli erano vicini nella sapienza e nelle pratiche magiche. Però col passar del tempo anche altri appresero parecchio e ne originò una pratica magica che si diffuse nei paesi del nord e perdurò a lungo.

Óðinn è il signore della poesia, che è potere soprannaturale non lontano dalla stessa magia, perché tra le qualità di poeta, vate, profeta e mago non vi è sostanziale differenza. Óðinn sottrasse al gigante Suttungr il sacro idromele che rende poeti chi lo beve, e che ora custodisce presto di sé. Si dice che Óðinn versò parte di quell’idromele sulla terra, elargendo agli esseri umani il dono inestimabile del canto.

Óðinn è anche un dio della guerra. Egli è detto Sigföðr, «padre di vittoria», perché decide nelle battaglie a chi debba andare la vittoria, e Valföðr, «padre dei prescelti», perché sono suoi figli adottivi tutti coloro che cadono in battaglia. Con questi due nomi Óðinn distribuisce in battaglia la vittoria e la morte: entrambi doni graditi ai guerrieri.

Óðinn combatte con le sue arti magiche e si compiace nel festino dei lupi e dei corvi.
L’infallibile lancia che egli regge in pugno, e che gli è stata donata dai nani, si chiama Gungnir, e sulla sua punta sono incise rune. Con quella lancia egli principiò la prima guerra del mondo, il conflitto tra Æsir e Vanir. Da allora, alla vigilia delle battaglie la rivolge verso la schiera alla quale ha decretato la sconfitta. Egli è detto perciò Dresvarpr «[colui che] scaglia la lancia », Geirloðnir «[colui che] invita con la lancia», Biflindi «[colui che] scuote», sottinteso, la lancia. Óðinn possiede anche un elmo d’oro, onde per cui è detto Hjálmberi «[colui che] porta l’elmo».

Óðinn appare tremendo ai nemici, poiché è esperto nell’arte di cambiare forma e colore a piacimento. Ha in guerra il potere di accecare, assordire o atterrire i nemici, di scatenare il terrore nelle schiere, di rendere le armi inette a ferire come semplici ramoscelli. Nessuno può scagliare così forte una lancia nella mischia senza che Óðinn riesca a fermarla con un solo sguardo. Le sue capacità guerriere hanno una base magica, in quanto dipendono dalla sua conoscenza delle rune e degli incantesimi. ― Questo conosco ― disse Óðinn a Loddfáfnir. ― Se ho grande urgenza di incatenare i miei nemici, io spunto le lame dei miei avversari, rendendo inutili le loro spade e le loro mazze.

D’altra parte lui stesso sceglie chi proteggere nella mischia, rendere invulnerabili i suoi devoti guerrieri, può e far sì che chi scenda in battaglia ne esca sano e salvo. Óðinn stabilisce il fato dei guerrieri. Assegna a loro la vittoria e decide quando debbano morire. La tradizione riporta molti esempi di guerrieri che innalzarono sacrifici e invocazioni a Óðinn per ottenere il successo in battaglia. Ma per gli eletti del dio ottenere la vittoria o morire gloriosamente sono due cose altrettanto desiderabili. Non è infatti triste il destino di coloro che muoiono negli scontri, i quali sono a tutti gli effetti i «prescelti» del dio (con questo termine vengono infatti chiamati i caduti in battaglia: val cioè «prescelti»). Óðinn li accoglie come suo figli adottivi e a loro assegna l’aula di Valhöll, dove essi partecipano all’eterno banchetto da lui presieduto. È appunto in questo modo, stabilendo a chi tocchi la morte sui campi di battaglia del mondo, che Óðinn sceglie i suoi campioni, i quali formeranno la schiera degli Einherjar, i guerrieri destinati a lottare al suo fianco nel giorno di Ragnarök. Essi formano l’esercito delle anime che cavalca in cielo nelle notti di tempesta.
Legati al culto di Óðinn sono le congregazioni dei guerrieri estatici, gli úlfheðnar e i berserkir, i «lupi mannari» e i «vestiti d’orso», i quali prima della battaglia entravano in uno stato di furia, dettoberserksgangr, nella quale cominciavano a ringhiare, sbavare e a mordere l’orlo degli scudi. Poi si gettavano urlando in battaglia, mulinando spade e scuri, e facevano il vuoto tutto intorno, insensibili al dolore e alla fatica. Dopo, crollavano al suolo esausti.

Con un cappellaccio in testa e un mantello sulle spalle, a volte reggendosi alla sua lancia come a un bastone, Óðinn vaga per le vie del mondo.
Óðinn si muove lungo le strade come un pellegrino, dissimulando il suo aspetto e la sua reale natura. Óðinn è infatti il dio dei viaggiatori e di tutti coloro che si muovono lungo le strade. Nel corso dei suoi viaggi capita che egli chieda ospitalità per la notte tanto nelle regge dei sovrani quanto nelle case delle persone umili. Egli è anche detto Gestr «ospite» e infatti in ogni straniero accolto in casa potrebbe celarsi lo stesso Óðinn sotto mentite spoglie. Guai a chi non attenda ai sacri doveri dell’ospitalità!
Sotto il nome di Grímnir, Óðinn giunse come ospite presso re Geirrøðr, il quale, sospettoso, lo torturò crudelmente tenendolo incatenato tra due fuochi divampanti. Dopo avergli rivelato i segreti del mondo divino e parte dei suoi numerosi epiteti, Óðinn gli rivelò infine la sua vera identità: re Geirrøðr corse a liberarlo ma inciampò sulla sua spada e cadde trafitto.
Così Óðinn assunse il nome di Jálkr quando fu ospite presso le genti di Ásmundr; Gagnráðr quando si recò a competere sul sapere remoto col gigante Vafþrúðnir; Sviðurr e Sviðrir presso Søkkmímir figlio di Miðvitnir, che fu da lui ucciso; Bölverkr presso il gigante Suttungr; Hárbarðr quando ebbe con Þórr uno scambio di insulti, e Göndlir quando si presentò in incognito al cospetto degli stessi dèi. Molti nomi di Óðinn sono dunque legati a vicende specifiche, e in verità è un grande sapiente colui che conosce con sicurezza tutte queste storie.

Le apparizioni di Óðinn sono un tema caro alla tradizione nordica. Le saghe riportano molti testimoni che, per una ragione o per l’altra, incontrarono lungo la strada un viandante di aspetto inquietante, che si presentava con l’uno o l’altro nome. A volte costui bussava alle porte delle case chiedendo ospitalità per la notte. Quanti ebbero a fare con questo misterioso viandante, si resero conto che si trattava di un individuo non comune, ma solo al momento del congedo, o addirittura tempo dopo, essi intuirono di aver avuto a che fare con Óðinn.

Spesso Óðinn intervenne nella vita di sovrani ed eroi, causandone la nascita, aiutandoli in varie occasioni e infine portandoli alla morte. È il caso innanzitutto della stirpe dei Völsungar, che si diceva discendesse dallo stesso Óðinn e che il dio seguì attentamente per molte generazioni finché da quella schiatta non giunsero eroi eccellenti come Sigmundr, Sinfjötli, Helgi e Sigurðr. In molte occasioni Óðinn fu al loro fianco, aiutandoli in tutti i modi e dando loro saggi consigli. Ma al giusto momento, egli veniva a reclamare la loro vita. Fu Óðinn a presentarsi in barca per reclamare il corpo di Sinfjötli dalle braccia del padre; e fu sempre Óðinn a fornire personalmente la lancia con la quale Dagr poté uccidere Helgi. Presentandosi il nome di Hnikarr «[colui che] istiga alla battaglia», il dio sedò il mare infuriato dinanzi alla nave di Sigurðr, ma fu sempre lui a provocare i dissapori e le asperità che portarono alla morte del giovane eroe e alla rovina della sua stirpe.

Ma questo è solo un esempio tra tanti. In un’altra occasione Óðinn comparve, col nome di Höttr «incappucciato», al cospetto della bellissima Geirhildr e fece in modo che ella divenisse sposa di re Alrekr. In seguito, aiutò la donna a preparare una birra eccellente per una gara e le domandò in compenso «ciò che c’era tra lei e il paiolo», ovvero il bambino che ella portava in grembo. Víkarr nacque dunque già consacrato al dio, che fece di lui un eroe e un eccellente sovrano. Ma poi, come narra un’altra vicenda, Óðinn tornò col nome di Hrosshársgrani «dai baffi come crini di cavallo» e chiese la morte di Víkarr. Fu inscenata una falsa impiccagione, sperando con questa di soddisfare il dio, ma essa si trasformò inaspettatamente in un reale sacrificio e Víkarr morì impiccato e trafitto da una canna magicamente trasformatasi in lancia.

Si racconta ancora, nella saga in suo onore, che il famoso re danese Hrólfr Kraki venne ospitato, durante un suo viaggio in Svezia, da un misterioso contadino di nome Hrani: quando, al ritorno, egli rifiutò certi doni che questi gli offriva, il suo destino fu segnato.

A Oddr, anch’egli protagonista di una saga, Óðinn comparve sotto il falso nome di Jólfr: gli donò tre frecce magiche di pietra con le quali il giovane eroe poté uccidere un dèmone.

Questo accadeva naturalmente nei tempi pagani, ma sono registrate apparizioni del dio anche dopo la conversione delle terre del nord al cristianesimo. Una saga storica narra di come l’equipaggio di un vascello prese a bordo un uomo guercio, avvolto in un mantellaccio azzurro scuro, il quale disse di chiamarsi Rauðgrani. Costui insegnava agli uomini il credo pagano e li invitava a innalzare sacrifici agli dèi. Alla fine un prete cristiano si infuriò e lo colpì in testa con un crocifisso: l’uomo cadde fuori bordo e non tornò più. Anche se la saga non lo dice espressamente, si trattava di Óðinn.

Si narra che, col nome di Gestr, Óðinn abbia visitato Óláfr Tryggvason, re di Norvegia (995-1000). Il dio si presentò nelle spoglie d’un vecchio incappucciato, guercio, dotato di grande saggezza ed esperienza, che riportava storie di tutti i paesi del mondo. Lo strano individuo ebbe un lungo colloquio col re, poi, al momento di coricarsi, se ne andò. Il mattino dopo, il sovrano lo fece cercare, ma il vecchio era scomparso. Tuttavia aveva lasciato una gran quantità di carne per il banchetto del re. Ma re Óláfr, che era cristiano, vietò di mangiare quella carte, perché aveva riconosciuto Óðinn sotto le spoglie dell’ospite misterioso.

Con il medesimo nome di Gestr, Óðinn comparve ancora, alcuni anni dopo, al cospetto di re Óláfr II Haraldsson il Santo (1015-1028). Egli giunse alla corte del re sotto l’aspetto di un uomo borioso e scortese. Indossava un cappello a larghe falde che gli nascondeva il volto, e aveva una lunga barba. Nel corso di un colloquio, Gestr descrisse a Óláfr la figura di un sovrano dei tempi passati, il quale era così sapiente che il parlare in poesia era per lui altrettanto facile che per gli altri uomini il normale parlare; costui trionfava in ogni battaglia e poteva concedere agli altri la vittoria così come a sé stesso, a patto che venisse invocato. Da queste parole, re Óláfr riconobbe Óðinn, e lo cacciò via.

Fonte:https://mitologiaeleggenda.wordpress.com/mitologia-norrena/