La Porta magica

La porta ermetica, o magica come la chiamava il popolo di Roma, era incastonata nel muro di cinta d’un orto sito nella piccola via di S. Vito che si immetteva nella più nota via di S. Croce in Gerusalemme.

Nel 1873, in seguito alla demolizione del muro dove era situata la porta, la commissione archeologica comunale la fece scomporre e conservare nei magazzini municipali. Più tardi fu sistemata nel giardino di piazza Vittorio dove ancora oggi si può ammirare; furono posti ai lati due statue denominate “Bes”, ritrovate nei lavori di scavo del Quirinale nel 1888.

La porta ermetica, monumento unico al mondo nel suo genere, fu l’ingresso del laboratorio alchemico del marchese Massimiliano di Palombara, senatore di Roma.

Il marchese, uomo dedito alle scienze esoteriche, la fece costruire nel 1655; egli intrattenne rapporti di studio anche con la regina Cristina di Svezia che, abbandonato il trono, si stabilì a Roma attorniandosi di uomini colti e aperti a ogni esperienza; ella stessa, donna originale, vivace, esperta in esercizi fisici e dotta, conduceva una vita ritenuta spregiudicata per l’epoca.

Nonostante tutto fu accolta nella Roma papale con la massima deferenza.

Prima di iniziare l’esame della porta, sarà il caso di dare un accenno a due personaggi originali che frequentarono villa Palombara; il primo è conosciuto come il Pellegrino perché se ne ignora il nome. Egli ottenne ospitalità nel laboratorio del marchese per una notte, con la promessa di trasmutare in oro il liquido che il marchese faceva bollire nel crogiuolo.

La mattina dopo l’ospite si era dileguato, ma aveva lasciato sul pavimento il contenuto del crogiuolo che aveva prodotto una striscia d’oro purissimo, inoltre aveva lasciato sul tavolo una carta su cui aveva tracciato degli enigmi. Si narra che tali iscrizioni furono fatte incidere dal marchese su tavole di marmo che vennero poste nel laboratorio e scolpite sui due stipiti e sul frontone centrale della famosa porta ermetica.

L’altro personaggio fu il filosofo ermetico Borri. Egli nacque il 6 maggio 1627 a Milano; al pari di Cagliostro, fu ritenuto dai suoi contemporanei un grande o un millantatore, un terapeuta o un ciarlatano.

Studiò dai gesuiti ma non terminò gli studi perché fu allontanato per insubordinazione. Più tardi fu ammesso in Vaticano dove studiò medicina, chimica e alchimia; è in questo periodo che inizia la frequentazione con il marchese di Palombara.

Dopo la morte di Innocenzo X, salendo al soglio pontificio Alessandro VII, nemico dei novatori, fu costretto ad abbandonare Roma e si rifugiò a Milano dove si mise a diffondere le sue dottrine giudicate sovvertitrici dalla Chiesa; ricercato dall’Inquisizione, si rifugiò in Svizzera. I suoi seguaci furono costretti ad abiurare e il Borri fu condannato in contumacia e in sua vece fu bruciata la sua effigie, dipinta a grandezza naturale.

II Borri passò in Alsazia a Strasburgo e infine si stabili ad Amsterdam, dove raggiunse il massimo della sua fortuna per la fama che si guadagnò come medico e taumaturgo.

Iniziò a condurre una vita lussuosa che contraddiceva quanto aveva insegnato ai suoi discepoli.

Anche in questa nazione provocò gelosie che lo misero nella condizione di fuggire per evitare la prigione. Arrivato a Copenaghen presso la corte di Federico III ottenne aiuti economici e onori; fu nominato prima consigliere e poi ministro ma, alla morte del re, fu costretto ad abbandonare la Danimarca con l’intento di rifugiarsi in Turchia.

Durante il viaggio fu arrestato in Moravia e consegnato all’imperatore d’Austria Leopoldo I, il quale a sua volta lo consegnò a Roma dove regnava Clemente X, che lo fece rinchiudere a Castel S. Angelo in attesa della pena capitale. La pena di morte fu commutata in carcere a vita, dopo aver compiuto l’atto dell’abiura.

La cerimonia solenne si svolse nella chiesa della Minerva alla presenza del clero, della nobiltà romana e del popolo affluito in massa; il cerimoniale fu terribile e crudele, non una voce si levò in sua difesa, comprese le persone che erano state guarite dal Borri che gridavano “al fuoco, al fuoco!”.

Rimase in carcere fino al 1678; in seguito, grazie all’intervento dell’ambasciatore di Francia, che era stato da lui guarito, ottenne un carcere meno duro e la possibilità di lavorare in un laboratorio alchemico installato a Castel S. Angelo; ottenne anche il permesso di uscire dalla prigione.

In questa condizione di libertà quasi assoluta ebbe la possibilità di ricominciare a frequentare la nobiltà romana, compresi il marchese di Palombara e Cristina di Svezia. Certa-

mente non fu di poca importanza il suo apporto negli esperimenti alchemici e riti che si praticavano nelle magiche notti nel laboratorio del marchese con la complicità di Cristina.

Dopo la morte della regina di Svezia, sua protettrice, e con la salita al soglio pontificio di Innocenzo XII, il Borri fu di nuovo rinchiuso a Castel S. Angelo dove morì per febbri miasmatiche nel 1695.

Questi personaggi coltivarono l’arte dell’Alchimia così spesso bistrattata dalla scienza ortodossa, al più considerata come primo aspetto della chimica nascente, ma che riveste, per coloro che si interessano della verità, dignità di scienza.

Il Frontone

L’Alchimia studia i fenomeni sovrasensibili, apre le porte di conoscenze misteriche che dovrebbero produrre nell’adepto il “risveglio totale dell’Essere”. Essa è totalmente ermetica,

a causa della propria divina natura, solo coloro che ne hanno conquistato le “chiavi” ne conoscono il mistero.

Noi Massoni ne dobbiamo comprendere il perché: non sta forse scritto nei nostri Landmarks che la Massoneria possiede segreti che non possono essere rivelati?

E di quali segreti si parla se non di quelli che, per la loro intrinseca natura, non sono suscettibili di essere enunciati, proprio perché presuppongono la capacità dell’adepto di possederne le chiavi?

La Massoneria promette le chiavi a chi ne è degno e lo stesso avviene in tutte le scienze iniziatiche, perché parrebbe che questo “Segretum Magnum” sia la medesima conoscenza nascosta che anima ogni fratellanza che si rivolge al vero, al sacro significato della nostra esistenza.

Nessun filosofo ha mai parlato chiaro in proposito e ogni scritto è stato una ri-velazione del mistero.

Per quanto sia ardua l’impresa di parlare di questa sublime scienza, concentrata nei simboli e nelle scritte della Porta Ermetica, forse seconda per valore solo alla “Tavola di Smeraldo” attribuita a Ermete Trismegisto, nel tentare un’analisi, sia pure sintetica, di questo monumento, sarà il caso di iniziare dai due guardiani della soglia o “Bes” che, come è stato ricordato, non furono posti da chi concepì la porta, ma solo più tardi.

Una cosa è certa, la persona che unì i due “Bes” alla porta era dotata di conoscenze esoteriche; infatti essi rappresentano i guardiani che impediscono l’ingresso nel giardino magico: sono le nostre incompiutezze, le nostre paure che, come afferma Raphael, impediscono “di volgere veramente le spalle al proprio passato, al subconscio individuale e collettivo”. [Cfr. Raphael, Orfismo e Tradizione iniziatica, cap. “L’ascesi orfica”. Edizioni Asram Vidyâ, Roma]

Passiamo alla porta e iniziamo dal medaglione circolare che poggia sullo stipite della stessa.

Dentro il primo cerchio estremo troviamo l’epigrafe:

Tria sunt mirabilia deus et homo mater et virgo trinus et unus.

[Tre sono le cose meravigliose: Dio e uomo, madre e vergine, trino e uno]

Qui, riconducendosi alla legge del ternario vengono rappresentati i tre elementi essenziali dell’opera alchemici: il Padre, la Madre e il Figlio.

Per citare la Tavola di Smeraldo: “II sole è suo padre, la luna è sua madre, il vento la porta nel suo ventre, qui è il Telesma…”.

Alcuni vi hanno ravvisato lo spirito, l’anima e il corpo. Per proseguire la comparazione, la religione cristiana e quella vedica affermano analoghe trinità.

Alcuni alchimisti si rifanno a una triade ermetica: lo zolfo, il mercurio e il sale che corrisponderebbero allo spirito, all’anima e al corpo.

II tre volte grande Ermete parla del sole, della luna e dell’oro, che nella cosmogonia egizia sono Osiride, Iside e Horus. Qui vediamo alcuni dei molti nomi che le maggiori religioni e scuole esoteriche danno alla Trinità.

Se consideriamo che l’Alchimia è un’arte operativa, che indica le azioni da intraprendere per mutare gli elementi, ci rendiamo conto delle difficoltà dell’Opera, quando per molti non solo le operazioni di calcinazione, sublimazione, coagulazione sembrano oscure, ma perfino gli elementi su cui operare sembrano incerti o meglio si prestano a una infinita varietà di interpretazioni.

Per chi non è qualificato, o non ha una guida, è sconsigliato intraprendere un simile viaggio proprio perché le molte comparazioni e analogie possono fuorviare i ricercatori e fornire a essi rotte incerte, se non completamente errate.

Ed è per questo che nelle “Nozze Chimiche” di Christian Rosenkreutz si parla di un magnete, una bussola necessaria a non perdere la Via.

Nella Divina Commedia, Dante è guidato da Virgilio; in Alchimia, i molti filosofi prospettano una guida, un intervento extra-umano (un angelo con la tromba, una divinità ammantata di stelle). Viene pertanto raccomandato all’adepto di rivolgersi al supremo Artefice prima di mettersi al lavoro nel laboratorio alchemico.

I soli consigli che si possono dare sono:

– ricordare che l’Athanor, il crogiuolo su cui operare, è l’uomo ossia noi stessi;

– tener presente che la Via è quella Solare, la Via del Fuoco o Metafisica insegnata in occidente da Ermete, Orfeo, Aglaofamo, Pitagora, Filolao e Platone.

Continuando, dentro la cornice del medaglione vi sono due triangoli equilateri sovrapposti che formano una stella a sei punte, il notissimo sigillo di Salomone, sublime rappresentazione dell’unione dei contrari.

Nel linguaggio alchemico, il triangolo con il vertice verso il basso rappresenta l’acqua, il principio femminile, l’argento, la luna; il triangolo con il vertice verso l’alto rappresenta il fuoco, il principio maschile, il sole, secondo alcuni alchimisti simboleggiato dal gallo.

Si può fare un gran lavoro di analisi e comparazioni ma, senza le “chiavi”, ogni interpretazione è vana.

Basilio Valentino afferma che “l’opera è facile da fare, tu non hai bisogno di altre istruzioni per saper governare il tuo fuoco e costruire il tuo fornello”.

Il Cosmopolita ci dice pure che quando i filosofi affermano che l’opera è facile, essi avrebbero dovuto aggiungere che è tale per coloro che la conoscono, quindi è tutto facile salvo sapere il senso dei simboli, solo allora si può passare alle operazioni, al rettificare se stessi.

Ma che significato dare allora ai due triangoli incrociati? Sempre Ermete risponde: “Sale dalla terra e discende dal cielo e riceve la forza delle cose superiori e delle cose inferiori”. In altre tradizioni viene detto: discesa all’inferno e salita al cielo, in Dante troviamo la discesa all’inferno e la salita all’Empireo, e in Orfeo la discesa all’Ade e la salita alla terra.

Platone chiamava la parte solare anima demiurgica e quella lunare anima negativa-ricettiva.

È chiaro che l’unione dei contrari è simbolo, sulla via iniziatica, del superamento del duale; realizzazione sublime che porta l’uomo a un perfetto equilibrio interiore e ad impadronirsi della sua natura divina; infatti Salomone, che ha dato il nome a questo sigillo, veniva chiamato “Sapiente”.

Continuando, vediamo che sovrapposto all’esagramma vi è un altro simbolo composto da un circolo sormontato da una croce: è il globo del mondo, emblema dell’imperio sia sul piano della materia sia su quello dello spirito, per chi ha saputo portare a termine l’Opera.

All’interno del circolo troviamo la scritta:

Centrum in trigono centri

[Il centro sta nel triangolo centrale]

Il fondamento di tutto sta nella trinità.

Come non riferirsi al noto “punto” della Massoneria? Dobbiamo tornare al centro dell’essere umano, ritrovare il Sé, l’essenza fuori del tempo-spazio che corrisponde alla polarità cosmica, allora avremo raggiunto l’equilibrio dei contrari che ci schiuderà gli stati superiori della coscienza con il risveglio del Sé.

Nel centro del globo del mondo vi è l’ultimo dei simboli racchiusi nel medaglione, un piccolo circolo con un punto al centro. È tradizione universale che il punto sia il principio generatore e la circonferenza la cosa generata, con altre parole Dio e la sua creazione; viene anche definito “simbolo aureo”.

l’Architrave

Passiamo ora all’architrave della porta. Su di essa vi sono due epigrafi, la prima in caratteri ebraici:

\yhla hwr.(Ruach Elohim)

[Spirito Santo, Respiro di Dio, Soffio Vitale]

Ruach significa ciò che si muove e ruota, il soffio, il respiro. 11 veggente di Patmo, che era iniziato alla Gnosi, nell’Apocalisse dice: “Lo Spirito spira dove vuole”.

Si potrebbe rapportare, in alchimia, al mercurio, duplice nella sostanza, figlio del sole e della luna, che gli ermetici chiamano androgino o rebis.

Questo Mercurio dei filosofi, primo mestruo dell’oro e dell’argento dei filosofi, opera il dissolvimento dei metalli con la sua forza attiva e penetrante.

Ma vediamo ancora che a poco serve sapere questo se non si conosce il sole e la luna, se non si sa come unirli per formare il mestruo mercuriale.

Dante, cultore dell’Alchimia, seguace dei Fedeli d’Amore, fa dire al custode della sacra porta del purgatorio che occorrono due chiavi per aprirla, una d’oro e l’altra d’argento.

Aggiunge ancora che quella d’oro è più preziosa, ma quella d’argento è proprio quella che determina l’apertura della porta perché vuole tanto acume e ingegno.

La seconda epigrafe, iscrizione latina, recita:

Horti magici ingressum hesperius custodit draco et sine alcide

colchicas delicias non gustasset Jason

[Il drago delle Esperidi (o meglio della notte) custodisce l’ingresso

del giardino magico e senza Alcide, Giasone non avrebbe gustato le delizie della Colchide”]

II dragone delle Esperidi, come viene tradotto da alcuni “hesperius draco”, in realtà si rifà a un mito differente da quello di Giasone e degli Argonauti. Si riferisce a quello dei pomi d’oro delle Esperidi, raccolti da Ercole dopo l’uccisione del Drago.

Ma chi è Giasone? Sappiamo da altre fonti iniziatiche, non ultima la Massoneria, che l’adepto, l’uomo che sta ricevendo l’iniziazione, è rappresentato da Giasone; è sufficiente ricordare l’uomo da un sandalo solo.

Sappiamo anche che Ercole è figlio di un Dio e che appena nato, ancora nella culla, uccise due serpenti che lo minacciavano; in Alchimia si parla del “bambino filosofico” e sappiamo anche che, confortati dal parere esperto del Pernety, dei e dee degli antichi miti rappresentano metalli, operazioni e stati dell’essere. Almeno una cosa appare abbastanza chiara: l’iniziando non godrà dell’oro, della sapienza se non sarà aiutato dalla volontà inesorabile rappresentata da Ercole che gli farà vincere il dragone, ossia la barriera della terra con le sue passioni; solo allora egli potrà entrare nel giardino, nel mondo invisibile, nell’occulto e ritrovare la sua vera natura immortale.

Sullo stipite sinistro, in alto

per chi osserva la porta, troviamo il simbolo di Saturno. Saturno è il piombo, il colore nero, primo regime dell’Opera; accanto a questo simbolo si trova la scritta:

Quando in tua domo nigri corvi parturiente albas columbas tune vocaberis sapiens.

[Quando nella tua casa i neri corvi partoriranno le bianche colombe allora sarai chiamato sapiente.]

L’autore fa riferimento alla successione dei colori nell’Opera, il nero seguito dal bianco e infine dal rosso.

Che il nero sia il cadavere putrefatto del dragone, credo che nessuno possa dubitarne.

Resta, al solito, da scoprire cosa sia il dragone e poi perché debba morire. L’impresa è ardua e riservata a pochi. Cristian Rosenkreutz, nelle sue “Nozze Chimiche”, lo chiama Re nero, che deve essere decapitato, poi cotto con gli altri metalli in amalgama all’interno dell’uovo filosofico, per far nascere l’uccello miracoloso.

Ciò ricorda la Fenice che risorse dalle sue ceneri, il Cristo risorto, ma, per restare ai corvi e alle colombe, ricorda anche quei misteriosi messaggeri di Noè inviati a cercare la terra dopo il diluvio.

Prima venne spedito un corvo che non tornò, poi una colomba che rientrò all’arca con un ramoscello d’ulivo nel becco, quando appare il segno che le acque si stavano ritirando e che l’Ararat, montagna sacra dell’approdo, mostrava di nuovo la sua terra, a significare l’inizio del regime secco dell’Opera. L’opera al nero, ci ricorda Raphael nel suo Orfismo e Tradizione iniziatica, è: “La discesa agli inferi risponde all’opera nigredo dell’Alchimia; anche Gesù discende agli inferi come vi devono discendere tutti coloro che desiderano la Realizzazione”.

Solo allora il Fuoco solare può splendere nella nostra coscienza purificata, rettificata e riappacificata.

Raphael ci ricorda ancora che «questa discesa rappresenta, inoltre, l’opera al nero dell’Ermetismo, la soluzione della solidificazione del passato, lo scioglimento dai vincoli di ciò che non si è o, come direbbe il Vedânta Advaita, la soluzione di tutte le sovrapposizioni velanti”. L’ente, nel tempo-spazio, ha proiettato nella sua spazialità psichica direzioni energetiche (idee, emozioni, desideri, aspettative, comportamenti, ecc.) che poi si sono solidificate, cristallizzate. La coscienza, identificandosi con tale materiale, si costringe nel divenire, non trovandosi mai al suo giusto posto e al suo giusto tempo. In altri termini, non vive mai il suo stato presente.

Oggi si può intendere il termine inferi con il concetto di subcoscienza. Questa è la nostra cantina ove sono depositate qualità o, meglio, nuclei solidificati di qualità che trattengono e costringono la parte di Anima incarnata. Questi nuclei sono formati dalla sostanza-materia o polarità negativa-ricettiva di cui l’Anima demiurgica rappresenta l’altra polarità. Tale sostanza ha quindi carattere femminile; così Orfeo (Anima demiurgica) deve scendere nella cantina, prendere Euridice (il riflesso dell’Anima imprigionata dalla sostanza solidificata), scioglierla dallo stato di costrizione e riportarla alla luce del sole; vale a dire, ricomporla nel conscio in modo che la dualità venga a scomparire…

Comunque, risolvere il subconscio individuale non basta perché vi è il subconscio collettivo; la discesa agli inferi deve essere integrale, deve abbracciare l’intero mondo infero; ciò implica che occorre sganciare l’Anima anche da tutto ciò che l’umanità – in quanto processo individuato – ha cristallizzato. È per questo che all’iniziando viene suggerito di rimanere sordo alle stimolazioni che provengono dalle istanze sociali. Cosa non facile perché idealismi e sentimentalismi di varia natura impediscono di restare fermi nell’equanimità d’animo».

La Massoneria, nel suo gergo estremamente sintetico dice: “Scavare oscure e profonde prigioni al vizio”

Passando allo stipite destro,

in alto, c’è il simbolo di Giove, stagno, color grigio.

Esso non rappresenta un vero e proprio regime, ma un graduale passaggio, da più filosofi sottolineato, dal nero al bianco e più sotto vi è l’epigrafe:

Diameter spherae thav circuli crux orbis non orbis prosunt

[Il diametro della sfera, il tau del circolo,la croce dell’orbita non giovano ai ciechi]

Torniamo al discorso del Cosmopolita: la comprensione dei simboli alchemici è riservata a coloro che hanno sviluppato in sé la capacità di vedere, perciò non giova a chi non sa vedere; in alcuni testi d’Alchimia la sfera tagliata dal diametro, la sfera del tau, della croce greca, simboleggia tutta la gamma della vitalità cosmica. Le due semisfere indicano due stati dell’essenza: il volatile o spirituale e il fisso o materiale.

Nella porta ermetica di Kremmerz si afferma trattarsi della rosa e della sfera che graficamente vengono rappresentate da una sola circonferenza, la quale ha una croce nel suo mezzo.

Il vero sapere sgorga dalla croce che sta sotto la sfera. La croce sotto la sfera è il simbolo di Venere, o chiave del Nilo, simbolo dell’Amore.

Con la croce conseguirò la rosa, con questa la Vita eterna. Ricordiamoci che anche Gesù ammonì di non dare le perle ai porci. In Massoneria devono essere accettati uomini che hanno qualificazioni, nel gergo massonico diciamo “uomini liberi e di buoni costumi”. Questa è una costante comune a tutte le vie iniziatiche, aprire le porte solo alle persone qualificate e concedere la graduazione della luce, della conoscenza, man mano che la coscienza dell’adepto si espande.

Stipite Sinistro Centro

Scendendo sullo stipite sinistro, nel mezzo, osserviamo il simbolo di Marte.

In Alchimia ci si riferisce al ferro, al colore bruno. Quindi, più sotto, l’epigrafe recita:

Qui scit comburere aqua et lavare igne facit de terra coelum et de coelo terram pretiosam

[Chi sa bruciare con l’acqua e lavare con il fuoco, fa della terra un cielo e del cielo una terra preziosa]

In alcuni testi si parla di due operazioni, il corpo (sale) passa a uno stato sottile vicino a quello aeriforme e lo Spirito (zolfo), unendosi al primo, cambia in sostanza sublimata, ossia in terra preziosa. Si intuisce chiaramente che si tratta di un’opera di sottilizzazione, vale a dire di epurazione e di elevazione. Sottolineiamo ancora come il fuoco, Ermete insegna, è l’elemento essenziale dell’Opera: I.N.R.I. [Igne Natura Renovatur Integra – II Fuoco rinnova l’intera natura].

Fulcanelli dice che il Fuoco è la Scintilla vitale comunicata dal Creatore alla materia inerte, è lo Spirito chiuso nelle cose, il raggio igneo. La ruota, come dice Fulcanelli, è il geroglifico alchemico del tempo necessario alla cottura della materia filosofale e così anche della cottura stessa; il fuoco, mantenuto costante e uguale dall’artista notte e giorno nel corso di questa operazione, è chiamato per questa ragione fuoco della ruota (rotazione, cambio di coscienza dall’io al “Sé” e fissazione di questa realtà).

«Il Fuoco – secondo Dioniso – appare in tutte le cose e illumina tutto pur restando occulto e invisibile, atto per sua virtù alla propria azione, mobile, capace di comunicarsi a quanto

gli è vicino; esso è attivo, poderoso, presente invisibilmente in ogni cosa; esso è impalpabile e indiminuibile quantunque si comunichi prodigalmente».

Il Pontano nella sua lettera dice che «egli ha errato più di duecento volte (venti anni) sebbene avesse lavorato su la vera materia, perché egli ignorava il Fuoco dei Filosofi… Fuoco acquoso o Acqua Ignea o Acqua Ardente…

E chi separa qualche cosa dal soggetto, ritenendo che ciò sia necessario, quegli per certo non sa nulla di filosofia, perché ciò che è superfluo, impuro, sudicio e di rifiuto, insomma tutta la sostanza del soggetto, si perfeziona in corpo spirituale sempre mediante il nostro fuoco.

E questo i veri sapienti non l’ignorano mai. Perciò ben pochi pervengono all’arte ritenendo che si debba rimuovere qualche cosa di superfluo e d’impuro.

Ora bisogna dire le proprietà del nostro fuoco e se ciò convenga alla materia.

Quel fuoco non brucia la materia, niente separa dalla materia, ne divide le parti pure dalle impure, come dicono molti filosofi, ma converte in purità tutto il soggetto; ma sublima come Geber fa le sue sublimazioni, similmente Arnaldo di Villanova, e di sublimazione rende perfetto in breve tempo… Il nostro fuoco è minerale ed eterno, non evapora, se è eccitato oltre misura partecipa allo Zolfo, non proviene dalla materia, distrugge, dissolve, congela e calcina tutte le cose… L’errore dunque di tutta codesta arte è il non trovare il fuoco che converta tutta la materia in vera pietra filosofale…

La pratica invero è questa: si prenda la materia e il più accuratamente possibile si triti con tritura filosofica e si metta al fuoco, e la proporzione del fuoco si conduca in modo tale che ecciti semplicemente la materia, la tocchi tuttavia e in breve tempo quel fuoco, senz’altra apposizione di mani, celermente compirà tutta l’opera, perché putrefarà, corromperà, genererà e perfezionerà e farà apparire i tre colori principali, nero, bianco e rosso…

II Fuoco non si trasmuterà insieme con la materia, perché non è materia, come ho detto più sopra».

Alcuni testi asseriscono che in questo stadio si fanno volatilizzare lo zolfo, il mercurio e il sale che sono racchiusi nell’uovo filosofico, le penne, ossia il vapore che s’innalza dal fondo dell’uovo, faranno convertire tutti i metalli in argento. Questo enigma allude al risultato del quarto fermento della luna o semente argentifera. In questa fase ormai si sarà ben compresa la tripartizione dell’uomo in Zolfo, Mercurio e Sale, in altri termini Spirito, Anima e Corpo, e si deve compiere la separazione del Mercurio dal Sale, operazione essenziale altrimenti non si potrà procedere verso le Nozze Chimiche.

Raphael dice: «Raggiungi la dimora di Coloro che sono e non più divengono, la Cittadella degli Svegliati, il luogo senza confini. Solo la potenza del Fuoco può trascendere il fantasma dispersivo del fuoco»

Stipite Destro Centro

Sullo stipite destro, nel mezzo, compare il simbolo di Venere. Gli alchimisti associano a esso il rame, il colore verde. Più sotto l’iscrizione:

Si feceris volare terrant super caput tuum

eius pennis aquas torrentium convertes in petram

[Se avrai fatto volare la terra al di sopra della tua testa

Con le sue penne tramuterai in pietra le acque dei torrenti]

Tutta l’operazione tende al ritiro delle acque del diluvio che lasceranno spazio alla terra preziosa, alla pietra alchemica su cui si fa una operazione misteriosa che viene accennata più volte, simbolicamente, anche nella porta ermetica.

Stipite Sinistro Basso

Sullo stipite sinistro, in basso, troviamo il simbolo del Mercurio, Argento Vivo, e l’epigrafe:

Azot et ignis dealbando latonam veniet sine veste Diana.

[Tramite la purificazione di Latona da parte dell’Azoto e del Fuoco, appare Diana senza veste]

La parte più pesante si separa, e questa è la veste o scoria; l’altra, volatile o fluidica, ossia la parte nuda, priva d’involucro, è il puro fermento argentifero, è Diana, il quarto fermento, ossia la luna.

È questa un’altra descrizione dell’Opera, in cui la purificazione della materia filosofale produce la comparsa dell’argento.

È la purificazione del Purgatorio dantesco che prelude alla venuta di Beatrice (colei che dà beatitudine), è la purificazione prescritta da tutte le fratellanze misteriche.

E affinché non desti meraviglia il misterioso realizzarsi della pietra al bianco (la mistica Iside svelata) a seguito della catarsi della materia prima, diremo, come Beatrice nel Paradiso, che “sarebbe strano che, nettati dagli errori che ci tengono a terra, restassimo ad essa vincolati, senza poter accedere all’Empireo”.

Volo superbo descritto da Platone con i suoi cavalli, uno bianco e l’altro nero, uno volto al cielo, l’altro alla terra. Ma attenzione qui non si fa metafisica cosmica, ma microcosmica. Dei, cieli, terra e astri sono in dimensione microcosmica per suggerire elementi e operazioni dell’Arte.

Purificata l’anima dalla miscela, essa abbandona la parte più pesante, la veste, ossia la scoria, mentre la parte volatile, ossia nuda, che è il puro fermento Argento simboleggiato da Diana, annuncia il governo del Sole.

In questa fase si acquisisce la prima chiave descritta da Dante, quella d’Argento.

Questa purificazione è la pratica iniziatica meno gradita alla mente dell’uomo; si preferisce leggere una montagna di libri, magari scriverli, bluffare con se stessi e non compiere l’opera di decantazione della propria coscienza.

La purificazione è la condizione sine qua non per procedere verso la realizzazione finale della grande Opera. Rifacendosi al mito d’Orfeo ed Euridice, Raphael ci ricorda che «si hanno così tre condizioni [coscienziali] in cui l’iniziando può trovarsi.

L’ultima si presenta quando si intraprende la rettificazione senza qualificazioni adeguate: la subcoscienza comprende ciò e crea false immagini, alibi e altro per stornare l’ignaro aspirante.

È la condizione di alcuni i quali credono di aver effettuato la rettificazione o la soluzione del proprio passato cristallizzato, mentre in realtà vivono di illusioni e di ombre; si credono, ma non sono.

In altri termini, hanno riportato dal mondo infero solo la proiezione mentale del vero se stessi.

La penultima condizione è estremamente penosa perché l’iniziando può avere certe qualificazioni può avere giusta direzione e buona volontà intelligente, ma in lui v’è ancora qualche guardiano della soglia che gli impedisce di volgere veramente le spalle al suo passato, al subconscio individuale e collettivo.

Se si entra nella caverna per riprendere il proprio oro, occorre avere tutta la determinazione, capacità e ardire di non voltarsi: basta un ripensamento, una debolezza, un alibi, una qualificazione con cui si è vissuti per tanto tempo, un filo karmico non interrotto, che l’opus fallisce. Questa condizione viene sperimentata da discepoli che, per quanto ben intenzionati e con buone qualità iniziatiche, non hanno tuttavia portato a fondo il processo della purificazione…

La prima condizione, invece, è di colui che sa riportare la vittoria sulle proprie ombre cristallizzate. L’Euridice incatenata dal tempo-spazio la si deve liberare e portare nell’atemporalità del senza spazio…

Il mito della morte-rinascita è dunque un’esperienza ben precisa la quale deve coinvolgere, più che il semplice emotivo, lo strato coscienziale più profondo; in altri termini, deve coinvolgere l’ente stesso nella sua essenzialità. Solo in tal modo diventa catartico…

Ora, bisogna tener presente un fatto: se il neofita non è pronto perché manca di fuoco, di eros, di aspirazione alla morte-rinascita, l’evento rappresentato non può dare gli effetti dovuti. Se non ci sono l’adeguato combustibile, la coscienza anelante d’identità col Dio e il giusto rapporto con l’atto rituale, questo può diventare una semplice rappresentazione teatrale o folcloristica. Nel momento culminante del rito i mistes qualificati subiscono la rottura di livello dell’io e non solo vedono, ma riconoscono ciò che realmente sono; vale a dire, si riconoscono e si scoprono Dioniso.

In termini Vedanta si può dire che si entra in samadhi. Il rito è forza magica che, se ben compreso e seguito, opera precisi effetti».

Sullo stipite destro, in basso,

vi è il simbolo del Sole, Oro, colore porporino e più sotto l’epigrafe:

Filius noster mortuus vivit rex ab igne redit et coniugio gaudet occulto

[Nostro figlio, morto, vive, torna re dal fuoco e gode del matrimonio occulto ]

L’Argento, figlio delle fatiche degli alchimisti, vive dopo essere morto ed aver abbandonato le scorie, ma non è più Argento, finalmente è diventato Oro alchemico.

Torna dalla sublimazione, è diventato Zolfo rosso o Sole determinato dal sacro accoppiamento: Sole e Luna o Re e Regina con il loro amplesso hanno generato l’immortale Figlio, cosi si compie la grande Opera.

Come non ricordare, ancora, la Fenice misteriosa che risorge dalle sue ceneri, Dante che attraversa le fiamme come ultima purificazione, le prove del fuoco di molte fratellanze iniziatiche e, perché no, il Cristo risorto e sceso all’inferno per risalire alla destra del Padre. Inoltre, per comprendere chi sia questo Re, siamo aiutati dall’iscrizione Filius Noster. In Alchimia egli è il figlio del Sole e della Luna, è il Telesma di Ermete, forte di ogni forza, che sale dalla terra e discende dal cielo. E la terra è sua nutrice e suo ricettacolo.

Continua Ermete: “separerai la terra dal fuoco, il sottile dallo spesso, lentamente con gran cura”.

Le analogie non mancano e tutte ci conducono a una affermazione, forse sorprendente: che tutte le epigrafi della porta alchemica fin qui considerate descrivono, in modi diversi, la stessa operazione, quella espressa da Ermete nella Tavola di Smeraldo.

È il solve et coagula degli alchimisti, lo sciogliere e legare dei cristiani che, guarda caso, è attribuito come facoltà a Pietro apostolo, cui Cristo disse: “Tu es petra” (tu sei pietra),

è la morte e resurrezione del Cristo, è la morte del Re Nero di Rosenkreutz e la sua trasmutazione in splendido volatile. Quanto al coniugio della frase, esso va interpretato come unione o matrimonio permanente, indissolubile.

La Pietra, nettata dal fuoco, ha stabilità infinita. La sua duplice natura (del rebis) è diventata una cosa diversa, ma unica, non è più suscettibile di separazione ulteriore (per la meraviglia della Cosa unica, dice Ermete).

È lo yoga degli induisti, il cui senso è unificazione con l’Assoluto, unione che, una volta raggiunta, non può ricreare lo status precedente. È la scritta del medaglione trinus et unus che fonde permanentemente Padre, madre e figlio, ovvero il Sole, la Luna e Oro.

Se con l’opera al bianco il Re era rinato alla vita (l’anima al di sopra delle acque come candida colomba), con l’opera al rosso è ridisceso in essa trasferendole la luce, ma soprattutto riacquistando totalmente la sua vera natura, quella divina, immortale. Questa condizione veniva chiamata nell’antichità corpo perfetto.

San Paolo enunciava il medesimo concetto chiamandola armatura di luce, il Buddismo tantrico con l’espressione corpo di diamante folgore.

Come possiamo vedere, l’umanità che è riuscita a porsi nella visione della Verità sul piano metafisico con linguaggio diverso esprime una unica Tradizione, una Verità identica, che è l’essenza noumenica.

Raphael scrive: «Sotto questa prospettiva, si può essere d’accordo con Sofocle quando afferma, su ispirazione orfica: Non esser nati! Ecco ciò che trascende ogni pensiero. Ma se qualcuno appare nel mondo dell’esistenza, c’è un’altra cosa che ha senso: tornare al più presto da dove si era venuti”.

E Pindaro non è da meno: Esseri effimeri! Che cos’è ciascuno di noi? L’uomo è il sogno di un’ombra!.

Se per un accidente siamo precipitati nel non-essere, è nostro dovere e destino ridare le ali all’Anima in modo che possa volare, senza indugio, verso la sua patria naturale.

Ancora Raphael in Iniziazione alla Filosofia di Platone scrive: La fuga dal corpo e dal mondo è sì fuga, ma non verso l’annichilimento e l’evasione, bensì è fuga verso la vera patria dell’Essere, è fuga dal mondo delle ombre, è fuga dal sensoriale passionale irrazionale…».

Chi avrà saputo salire questa via in salita, non facile, otterrà l’ultima chiave, quella d’Oro di Dante.

Soglia

Sulla soglia della porta appare il motto:

Si sedes non is

[Il motto può essere letto da sinistra a destra (“Se siedi non procedi”) e da destra a sinistra (“Se non siedi procedi”). Questa breve frase è una vera istruzione operativa, premessa a tutta l’opera alchemica].

È la condizione senza la quale ogni speranza di aprire la porta del giardino magico diventa illusione.

È l’equivalente di un passo del celebre “Se” del fratello Rudyard Kipling 33 laddove recita: Se tu sai forzare il tuo cuore e i tuoi muscoli e nervi a servire, servire, servire al di là delle forze e così tener duro pur quando in te tutto è finito eccetto il volere che dice: resisti! e proseguendo: se tu sai riempire il minuto implacabile con sessanta secondi di strada percorsa, tua allora sarà la terra, con ciò che la terra contiene, ma, ciò che più vale, tu sarai Uomo figlio mio!.

Sul gradino compare l’ultima epigrafe della porta, insieme a un misterioso simbolo che alcuni chiamano Monade. L’epigrafe recita:

Est opus occultant veri sophi aperire terrant ut germinet salutem pro populo2

[È opera occulta del vero saggio aprire la terra, affinché germogli la salvezza per il popolo].

L’espressione è talmente chiara che appare perfino superfluo insistervi, salvo per confermare che la terra è la stessa della Tavola di Smeraldo, quella che è nutrice e ricettacolo del Telesma, la stessa del V.I.T.R.I.O.L. [Visita interiora terrae rectificandoque invenies occultam lapidem. Visita le parti più profonde della terra e rettificando troverai la pietra occulta]

Per alcuni la pratica dell’iniziazione e anche filantropia spirituale, illuminare gli uomini che posseggono le giuste qualificazioni; chi ha sufficiente Conoscenza, derivante da una strada realmente percorsa e non da cultura libresca, dona ai suoi adepti quella luce graduale che con piccoli passi fa riaccendere, fa risvegliare quel Fuoco sacro che è nascosto nel cuore di ogni uomo.

Fonte : http://www.duepassinelmistero.com/